se fossi un'automobile...

... sarei una FIAT 850. Ve la ricordate?

venerdì 27 marzo 2015

I Signori delle Balene

La copertina del libro.
Illustrazione di Emiliano Billai.
Chiarisco da subito: l’oggetto di questo post è un romanzo, ma io tenterò di non fare una recensione.
Ecco, mi sono fregato da solo perché so bene che sarà quasi impossibile evitare l’effetto recensione.
Infatti, in questo caso specifico, il punto di partenza è proprio il libro e non un mio pensiero precedente (come invece succedeva QUI).

I Signori delle Balene è un libro concepito all’interno di una realtà editoriale “biodiversa” e del tutto estranea alle dinamiche dei grandi supermarket editoriali dove i libri si scrivono, si stampano e si vendono “a pallet”.

La Piccola Volante è una web community (definizione che non mi piace, ma che aiuta a capire) che da qualche anno è anche una casa editrice di dimensioni umane. Quasi caserecce, nel senso nobile del termine.
Artefici di tutto sono Emiliano Billai e Michela Meloni, due soggetti pericolosi e gravemente malati di scrittura, lettura, illustrazione, grafica e comunicazione in senso lato. Due ragazzi irrequieti. Insofferenti alle catalogazioni preconfezionate che stanno alla base di censure, autocensure e limitazioni di tutta la filiera… dall’editore all’editor, dall’autore al lettore.
I due scriteriati non si sono neppure messi il problema di evitare i meccanismi che mercificano le storie, triturandole in un pastone molliccio e omologato, buono per tutti gli usi. Li evitano e basta.
Senza se e senza ma. E perfino senza però.
Rifuggono queste logiche come la peste e, con la loro attività, cercano di riportare la narrazione a un fatto di comunità nel modo più autentico possibile.
C’è il bisogno di raccontare. C’è il bisogno di ascoltare. C’è il bisogno di condividere.
E da qui nascono i loro giochi di scrittura. Laboratori che consentono a chiunque di buttarsi dentro una o più storie da scrivere. In solitaria o in gruppo. Una specie di focolare sempre acceso, in cui le storie sono l’unica vera cosa che conta. Anche più degli autori.
Eppure gli autori arrivano e vogliono lavorare con loro. Perché forse Emiliano e Michela li liberano dalle ansie da prestazione, e gli offrono un luogo/non luogo in cui recuperare quell’istinto per la narrazione che non è possibile separare dalla natura umana.

Non so se l’ho dipinta bene. Ma questa è l’immagine che mi sono fatto io.

Ecco come Emiliano traduce in immagine
una delle scene iniziali del romanzo.
Qualche settimana fa, Emiliano e Michela mi hanno portato un libro de La Piccola Volante.
Mi hanno chiesto di leggerlo con l’intento di coinvolgermi in un gioco. Non mi dilungo su questo aspetto perché, se le cose vanno come spero, ne parlerò tra qualche mese.
Per ora è sufficiente la piccola anticipazione che ho scritto pochi giorni fa, QUA.
Il libro era, appunto, I Signori delle Balene, scritto da Alen Grana.
L’ho letto una volta e, ieri, ho cominciato la seconda lettura.
I miei giudizi sul testo sono inutili, oltre che poco interessanti. Semmai potremmo parlare di opinioni, anche se poi si finisce per fare una recensione o qualcosa di molto simile.
Ma, dato che sono stato chiamato in causa non solo come lettore, cerco di trasferire la mia esperienza. Sì, perché la lettura, per quanto mi riguarda, è sempre un’esperienza.
E poi c’è la mia deformazione di autore e (ahimè) di editor e correttore bozze. Senza contare i miei trascorsi da insegnante di scrittura creativa, mai trascorsi del tutto.
Ho specificato queste cose per sgombrare il campo da equivoci, e anche per esorcizzare la paura di fare la figura del saputello che gioca a fare il professore. Lungi da me tutto questo.
Parlerò di questa mia specifica esperienza di lettura, senza fare una scheda di valutazione del testo.

I Signori delle Balene racconta una storia di pirati. Una bella avventura.
In alcune recensioni che ho trovato sul web, c’è chi ha scomodato il concetto di “fantasy”. Senza nessuna pretesa di avere ragione, io direi che è uno sproposito. Perché la presenza di streghe e sirene non fa di questo romanzo un fantasy.
E, a dirla tutta, sono convinto che I Signori delle Balene non tragga alcun giovamento a essere inquadrato come fantasy.
Detto questo, lascio volentieri il discorso sulle etichette “di genere” a chi ha la passione per le etichettature. A me interessa di più la scrittura con le sue storie e i suoi personaggi.

E parlo di storie al plurale, anche se il libro in questione è soltanto uno.
Infatti I Signori delle Balene pullula di storie, al punto che, per tutto il primo terzo del libro la trama principale è addirittura assente. Ma qualcosa ci suggerisce che è lì, da qualche parte. E preme per uscire allo scoperto, anche se Alen Grana la tiene in catene con una discreta dose di crudeltà, prima di consegnarci le chiavi di quel dannato lucchetto.
E qui faccio il mio primo appunto da rompiscatole incallito.
Va bene presentare i personaggi. Va bene anche la situazione “limite” in cui vengono presentati. Ma direi che un terzo del libro occupato dall’introduzione dei personaggi è un po’ troppo, anche se la lettura non risulta noiosa.
Il problema è proprio il freno che l’autore impone alla trama principale. Uno STOP grande così.
E quella (la trama, dico), poveraccia, scalpita come un ergastolano al limite della sopportazione e strilla per essere liberata dalla cella in cui l’autore l’ha rinchiusa prima di cominciare a scrivere.

Altro passaggio del libro,
altra superba illustrazione di Emiliano.
I personaggi sono davvero ben tratteggiati e caratterizzati, tanto da risultare senza dubbio il vero punto di forza del libro. Un aspetto fondamentale, perché non esiste macchina che possa partire per alcuna destinazione senza un motore. E i personaggi sono il motore di ogni storia.
L’autore ha costruito con bravura il suo motore e può decidere dove andare, senza che il lettore sia sfiorato dal dubbio di scendere dalla macchina prima di arrivare a destinazione.
Cosa buona e giusta.

Ma, per evitare che qualcuno si assopisca, qui scatta il mio secondo appunto.
Sono un rompiscatole, l’ho già detto.
Se volevate qualcuno che vi lisciasse il pelo, dovevate scegliere un altro blog.
Dicevo… il motore c’è e funziona. Le parti che zoppicano un po’ sono le ruote e le sospensioni. E, in effetti, anche la carrozzeria ha qualche ammaccatura.
Intendiamoci, non stiamo viaggiando su un ferrovecchio, ma su un veicolo che non consente al motore di esprimere al massimo la sua potenza.
Faccio qualche esempio.

1) Il punto di vista mobile o, meglio, la proliferazione dei punti di vista.
È una scelta tecnica interessante ma molto pericolosa, soprattutto per un autore giovane che si cimenta su un romanzo di 270 pagine. È un’arma a doppio taglio che ha bisogno di mani molto abili ed esperte per essere maneggiata senza far danni. E, in certi momenti, quell’arma scappa un po’ di mano ad Alen Grana. Che però (lo ammetto) ha la bravura di riacciuffarla quasi sempre prima che sia troppo tardi.
Ma anche qui mi viene da aggiungere che… a tirar troppo la corda, si rischia di spezzarla! Perché posso immaginarmi che non tutti i lettori siano dotati di dosi di pazienza molto generose.

2) Il linguaggio.
Qui entriamo negli aspetti più spinosi. A mio avviso la scrittura è ancora da raffinare. E non è solo una questione di forma, come potrebbe sembrare. Perché, nella scrittura, forma e sostanza sono spesso due facce dello stesso doblone.
Mi permetto di segnalare solo un paio di cose, per non rischiare di essere noioso.
La prima: il libro trabocca di avverbi e di gerundi. Spuntano da tutte le parti e in tutti i momenti, a destra e a sinistra, sopra e sotto, con una frequenza esasperante. Da anni combatto una vera e propria crociata contro l’eccesso di avverbi e di gerundi nella scrittura, e I Signori delle Balene è un ottimo campo di battaglia per la mia crociata: la maggior parte degli avverbi e dei gerundi che compaiono nelle sue pagine sono superflui se non addirittura fastidiosi. La loro eliminazione andrebbe a tutto vantaggio della scorrevolezza della lettura.
La seconda: il frasario. In diversi passaggi il testo è fuori registro, sembra che ogni tanto i pirati/narratori lascino la penna (o la tastiera del pc) a un individuo che vive nel nostro mondo, ai giorni nostri. Una persona qualunque, che potremmo incontrare al bar, in treno o per strada. Questo succede sia nelle parti di narrazione in terza persona, sia nei dialoghi. Un esempio: ogni tanto certi personaggi parlano dandosi del “lei” (che è una forma troppo moderna e poco adatta per una storia che ricalca, pur con tutti i dovuti distinguo, le classiche storie di pirati a partire dall’Isola del tesoro di Stevenson). Un altro esempio: ogni tanto i personaggi parlano con espressioni tipiche della nostra “vita reale” che stonano profondamente con l’universo piratesco classico che Alen Grana è stato così bravo a costruire.

L'indimenticabile balena grigia,
personaggio tra i personaggi di questo romanzo.
Mi fermo qui.
Non parlerò della trama nemmeno sotto tortura.

Dico solo che Alen Grana ha scritto un libro che piacerà molto agli amanti di storie piratesche.
L’avventura è garantita, con tutti gli annessi e connessi: amicizie, battaglie, arrembaggi, amori, morti, vendette, viaggi, misteri. E chi più ne ha, più ne metta.
Non importa per quelle cose che mi sono sentito di evidenziare.
L’ho fatto con estrema serenità e con un profondo affetto che vorrei arrivasse anche all’autore, quale che sia il suo vero nome.
Mettiamola così, ci terrei a leggere il prosieguo di questa saga (eh, sì… questo è solo il primo libro!) senza dovermi per forza sciroppare tutti quegli avverbi e tutti quei gerundi.
E, a questo punto, risate, pacche sulle spalle e rum per tutti!

Un immenso in bocca al lupo ad Alen Grana e a tutta la ciurma del Re Balena (scusami Alen, ma per me <IL> Re Balena è maschile… Eh! Eh! Eh!).
E poi anche a Emiliano, Michela e a La Piccola Volante.


Link utili

Su facebook trovate le singole pagine de La Piccola Volante, I Signori delle Balene, Alen Grana, Emiliano Billai e Michela Meloni.

mercoledì 25 marzo 2015

Quei giorni d'ottobre

Cagliari: la Sella del Diavolo vista dalla spiaggia del Poetto.
Sono i luoghi in cui è ambientato il fumetto di cui parlo in questo post.



Ci sono scatole che riescono a contenere il doppio di quanto in teoria potrebbero.
Piene all'inverosimile e sempre sull'orlo di un'esplosione.

Da qualche tempo la mia testa è in questo stato.
Una condizione pietosa, a volte causa di iperattività frenetica, altre volte di prostrazione.

I pittoreschi casotti, simboli della spiaggia del Poetto fino al 1986.

Difficile districarsi in mezzo a quest'Amazzonia di idee, dietrologie, fastidi, indignazioni, slanci, spiragli e vuoti pieni di nero.

La situazione non è per niente buona. Il lavoro agonizza. I pagamenti sono bloccati da circa tre mesi. Ieri ho emesso la mia prima fattura targata 2015. L'importo lordo è di 375 euro. Non c'è male, alla mia età. Complimenti.


In questo stato di cose, il cervello va per conto suo. Aiutato o disturbato (a seconda dei punti di vista) dagli occhi e dalle orecchie. Che vedono e sentono cose assurde. Aberranti.
Oscene e indegne, se riportate alla realtà di un Paese, l'Italia, che in linea del tutto teorica, dovrebbe essere civile, moderno e democratico. Vergogna su questo intestino del mondo. Vergogna su chi lo governa, per come lo governa. Vergogna sulle opposizioni, per come si oppongono. Vergogna su noi cittadini per la nostra assenza colpevole. Anzi, per l'ignavia sistematica.
E per la propensione al furto, alla truffa, al raggiro, alla grassazione e allo sfruttamento indiscriminato di chiunque si dimostri più debole.


Ieri e oggi ho rovistato tra i miei lavori di quindici, sedici, diciassette anni fa.
Preistoria.

Preistoria?
Niente affatto.
Tanta roba. Tante idee. Tante proposte. Tanta voglia di fare e di mettersi in pista.
Senza dubbio, devo riprendere da lì.
E parlo di propensione mentale.
Ogni tanto me ne dimentico, sommerso dallo schifo di questo Paese sottosviluppato, arretrato e ignobile che cerca di stritolarmi ogni giorno con le sue devastanti visioni del lavoro, del fisco e della società. E non ci sono destre, centri o sinistre. Buzzurri sono e buzzurri restano. Uomini senza dignità. Sgorbi pregni di una ignoranza maligna e ingorda. Porci avidi e ruffiani. Inutili e volgari aborti della natura.

Il Poetto con i suoi casotti, l'antica linea tramviaria
e la Sella del Diavolo sullo sfondo, in una bella foto d'epoca.

Tra le varie cose, ho ripescato questa storia a fumetti scritta all'inizio del 2000. Un anno "spartiacque" nella mia vita. Ma, mentre scrivevo quella sceneggiatura, ancora non lo sapevo.
Un anno difficile, il 2000. Tra i più difficili che mi sia capitato vivere. Ma anche importante, perché ha permesso ad alcune fenici di rinascere dai fuochi che le avevano distrutte.

Macchie d'Inchiostro nuova serie n. 1 (7) - luglio 2000.
Disegno di copertina di Giuseppe Palumbo

La storia fu pubblicata sul n.1 (nuova serie) della rivista Macchie d'Inchiostro, organo di stampa ufficiale della "mia" Associazione Culturale Chine Vaganti.
Fin dalle prime bozze, la vicenda era ambientata nella Cagliari di fine anni Settanta, sulla spiaggia del Poetto che ancora ospitava gli storici casotti, poi demoliti nel 1986.



È una storia malinconica. Autunnale.
I disegni di Giorgio Concu, influenzati dallo stile del croato Danijel Zezelj, la caricano dell'atmosfera adatta.



Ci sono passaggi, in queste otto tavole a fumetti, che oggi scriverei in un altro modo.
E che Giorgio disegnerebbe in un altro modo.
Abbiamo fatto molta strada dal 2000 a oggi, nonostante le scudisciate che abbiamo preso (in particolare negli ultimi anni) dal mondo del lavoro, dallo Stato italico e dalle parti più marce della società, cancri in espansione inarrestabile, alimentati da una tecnologia impazzita e votata alla distruzione dell'essere umano.



In questa storia appare, per la prima volta nella mia scrittura, la figura della sirena. Una figura che mi ha permesso di creare un cortocircuito di consapevolezza umana. Un ponte tra l'uomo e la sua essenza più profonda, ormai alla deriva. Un grido d'aiuto. Una mano tesa. Forse.



Qualche anno dopo, un'altra sirena attraversò la mia strada.
Una sirena che mi portò fino al teatro. E che segnò un altro "spartiacque" della mia vita.

Nei giorni scorsi ho letto un romanzo che, tra qualche mese, mi coinvolgerà in un gioco di narrazione "para" teatrale. In questo gioco, io mi calerò nei panni di uno dei personaggi della storia.
Ecco, anche se non l'ho scritto io, quel romanzo piratesco mi ha regalato la terza sirena della mia vita.
Un segno?
Vedremo.

Quei giorni d'ottobre © Daniele Mocci & Giorgio Concu

giovedì 19 marzo 2015

Che fatica essere topi! (1)


Tra il 2001 e il 2004, io e Luca Usai abbiamo prodotto una notevole quantità di strisce umoristiche per la casa editrice Esselibri di Napoli. In particolare, abbiamo creato quattro serie di strip che sono state pubblicate in alcuni libri di testo per le scuole medie inferiori e superiori italiane, e in due agende universitarie.

La prima edizione del libro (marzo 2003)
La striscia che vi presento oggi si chiama Che fatica essere topi! e ci fu commissionata per il testo di sociologia, psicologia e statistica Alla scoperta del comportamento, pubblicato nel marzo 2003.
Io e Luca ci tuffammo nel lavoro e ci documentammo a fondo, anche perché gli argomenti del volume erano piuttosto tecnici e complessi.
Le scadenze ristrette ci costrinsero a fare gli straordinari, ma alla fine portammo a termine il lavoro e ne fummo soddisfatti.
Certo, a rivedere il tutto oggi, cambieremmo molte cose! Tuttavia resto convinto che, in una striscia umoristica, quello che conta non sia tanto l’estetica (in senso lato) quanto l’efficacia della situazione che deve essere “messa in scena”.

Per ciascun argomento da trattare, l’editore ci aveva chiesto due differenti strisce che aiutassero a capire meglio i concetti. Noi ci imponemmo di essere comprensibili e divertenti nella maniera più immediata possibile, e risolvemmo la maggior parte delle strip in due sole vignette.

Purtroppo, quando ricevemmo le nostre copie omaggio del libro, fummo molto delusi. L’editore aveva fatto impaginare i nostri fumetti in un modo assurdo e incomprensibile: le due strisce per ciascun argomento erano state miniaturizzate e impaginate l’una a fianco all’altra, senza soluzione di continuità e senza nessun indizio che potesse suggerire all’occhio (e al cervello) del lettore che si trattava di due strip differenti e non di un’unica strip.

Ecco come furono impaginate le strisce all'interno del
libro. Quelle qui sopra sono in realtà due DIFFERENTI
strisce che:
1) quasi non si leggono, tanto sono piccole (anche
sull'edizione cartacea originale),
 2) inducono all'errore perché sembrano essere un'unica
strip e costringono il lettore ad alcune letture per
capire che, invece, sono due strip separate

Il lavoro era stato del tutto inutile: per il libro, per l’editore, per noi e per i lettori/studenti. La cattiva impaginazione aveva mandato a monte tutto. E, cosa ancora più grave, nessun supervisore aveva impedito che questo pasticcio dilettantesco finisse prima in tipografia e poi nelle scuole superiori italiane.

Questa è la prima delle due strip che avete visto sopra, nella pagina del libro.
Ed è quella che abbiamo sempre considerato la prima strip della serie.

Oggi, a distanza di dodici anni dalla pubblicazione di quel libro, inauguro sul blog una nuova rubrica in cui pubblicherò, senza nessuna periodicità fissa, una striscia di Che fatica essere topi! abbinata a qualche notizia o curiosità relativa a questa serie.

Non c'è un motivo particolare per cui sono stati scelti dei topi come attori principali. Luca aveva voglia di disegnare topi, i topi erano previsti nelle due strisce dedicate al labirinto di Tolman, e questo ci è bastato per prendere la decisione.

Che fatica essere topi! © Daniele Mocci & Luca Usai

sabato 14 marzo 2015

Super Pro: tredici anni di fumetti in undici copertine

Ecco a voi le undici copertine della rivista 44 Gatti (Gaghi Editrice, Milano) in cui è finora apparso il mio personaggio Super Pro.
La prima è datata maggio 2002, mentre l'undicesima (ultima fino a ora) risale al mese di luglio 2014.

Maggio 2002.
Prima cover di Super Pro, in corrispondenza del suo
esordio editoriale sulla rivista 44 Gatti.

Tutte queste illustrazioni sono opera di Luca Usai, co-creatore della serie nonché disegnatore di numerosi episodi.

Maggio 2003.
A distanza di un anno, il super procione torna in prima pagina.

Ho parlato varie volte di Super Pro in questo blog, ma, per chi non dovesse conoscerlo, riepilogo in breve le informazioni principali:
1) Super Pro è il personaggio titolare dell'omonima serie a fumetti creata da me e da Luca Usai nel 1999;
2) a partire dal mese di maggio del 2002, le sue avventure sono pubblicate sulla rivista per ragazzi 44 Gatti (Gaghi Editrice, Milano);
3) finora sono state pubblicate 75 storie (71 delle quali sceneggiate da me);
4) la 76esima storia uscirà, sempre su 44 Gatti, a maggio 2015, completando il tredicesimo anno consecutivo di pubblicazioni.

Settembre 2004.
Per la prima volta appaiono in copertina Bebo, Ale e Tore,
i tre inseparabili amici di Super Pro.

Per chi volesse approfondire, e magari leggersi qualche storia di Super Pro, è sufficiente cliccare QUI e scorrere verso il basso con lo scroll (si tratta di tutti i post con etichetta Super Pro pubblicati sul blog, compreso questo).


Luglio 2006.
Super Pro con Bebo, Ale e Tore
nella prima cover estiva della loro carriera.

Luglio 2008.
A due anni esatti di distanza dall'ultima cover,
i nostri eroi tornano in prima pagina.

Luglio 2009.
Passeggiata in gommone sulle rapide, con Tore e Ale che si
divertono un mondo, mentre Bebo pare un po' preoccupato.

Dicembre 2009.
La rivista 44 Gatti vince il Premio Nazionale "Città di Chiavari",
assegnato al miglior giornalino per ragazzi. Super Pro celebra
l'evento in copertina, insieme agli altri personaggi della rivista.

Settembre 2010.
I nostri eroi, felici tra le nuvole.

Maggio 2012.
Un insolito Super Pro in costume Seminole veglia dall'alto
sulla danza intorno al fuoco dei suoi tre piccoli amici.

Maggio 2013.
I nostri eroi salutano la primavera con un volo
su un tappeto volante un po'... "diverso" dall'originale.

Luglio 2014.
Super Pro fa un'allegra passeggiata sott'acqua
per sfuggire alla canicola estiva.

Super Pro © Daniele Mocci e Luca Usai

mercoledì 11 marzo 2015

Marcello e Sofia #11

La tavola di Marcello e Sofia che posto oggi è la n. 11 della serie, ed è stata pubblicata per la prima volta sul bimestrale Tempodì (Gaghi Editrice, Milano) nel febbraio 2009.

La vicenda si fonda su un "gioco" a duplice mandata: da una parte c'è il luogo comune della moglie che non vuole sentire ragioni dal marito, qualsiasi cosa lui abbia fatto. Ma anche qualsiasi cosa lui abbia o meno intenzione di fare o di dire. Dall'altra parte c'è l'utilizzo della tecnica della ripetizione, che serve a costruire il (piccolo) colpo di scena finale, in cui il ritornello del "Te l'ho detto mille volte" prosegue e si conclude, con un significato esattamente opposto rispetto a quelli delle vignette precedenti.

Intanto, la serie di tavole autoconclusive che ha per protagonisti questi due coniugi pensionati va avanti. Il prossimo episodio inedito a essere pubblicato "su carta" sarà il n. 48, che uscirà come al solito sulla rivista Tempodì, nel numero di aprile 2015.

Marcello e Sofia © Daniele Mocci & Luca Usai