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venerdì 20 giugno 2014

Le generazioni "saltate"

Ho scritto questo articolo circa due mesi fa per un lavoro “di comunicazione” in cui si è reso necessario osservare (pur senza troppi approfondimenti) alcuni fenomeni sociali che riguardano un po’ tutti noi, in quanto persone e in quanto italiani.
Ho scelto questo tema senza che nessuno me lo abbia dato, suggerito o, peggio che mai, imposto.
L’ho scelto perché credo rappresenti una delle più insopportabili vergogne italiane degli ultimi decenni. Oltre, naturalmente, a essere uno dei principali “nodi” che spiegano la sostanziale PARALISI MENTALE (e anche FISICA) del nostro Paese e di molte (troppe) caricature umane che lo hanno comandato anziché governarlo.

Ora lo pubblico qui, con qualche piccola modifica. Ma il succo del discorso non cambia.

 
Il fenomeno di cui scriverò è tipico dell’Italia degli ultimi trent’anni (circa).
Se poi dovessimo accorciare il tiro e limitarci a guardare la storia nazionale degli ultimi vent’anni, non sbaglieremmo a identificarlo come una vera e propria carica suicida che ha minato le basi stesse del nostro popolo.

Parlo di quello strano (ma non troppo) meccanismo che ha portato le generazioni di trentenni e quarantenni a essere quasi completamente tagliate fuori dai meccanismi di gestione della società, della politica, dell’economia, ecc.
Il discorso è lungo, e questa non è la sede adatta per svilupparlo nei dovuti modi e con i necessari approfondimenti. Ma mi preme comunque sottolineare come sia quantomeno singolare che un’intera nazione decida di amputarsi le parti più attive e forti del suo stesso corpo, senza averne indietro neppure un minimo tornaconto.
Dopo la grande “abbuffata plastificata” degli anni Ottanta, in cui gli italiani si sono anestetizzati il cervello a furia di futili amenità in stile “Drive in” o “Colpo grosso”, contagiati dal ributtante modello neovitellone della “Milano da bere”, con il suo vacuo fighismo da aperitivo, siamo arrivati all’alba degli anni Novanta con alcune generazioni di giovani completamente staccate dalla realtà.
I ventenni meno contaminati dal decennio precedente crescevano a “pane e grunge di Seattle”, ma agli occhi degli “adulti al potere” apparivano ancora come bambini appena svezzati. I trentenni invece venivano relegati, anno dopo anno, alla qualifica di eterni adolescenti. E i quarantenni (sempre quelli dei primi anni Novanta) erano forse gli ultimi ad avere la possibilità di salire sul treno “dei grandi”.
Dopo quel momento c’è stato il deserto completo.

I ventenni dei primi anni Novanta oggi sono ultraquarantenni che ancora annaspano, quasi rassegnati per aver perso quel treno. Sotto di loro, generazioni di adolescenti a tempo indeterminato o di bebè maggiorenni ai quali si continuano a somministrare nuovi (e sempre più potenti) anestetici cerebrali che oggi si chiamiamo “Amici”, “Grande fratello”, “Isola dei famosi”, ecc. ma che hanno lo stesso principio attivo di “Drive in” e “Colpo grosso”. Soltanto in dosi più massicce e deleterie.

Insomma, gli adulti al potere sono più o meno sempre gli stessi di venti e trent’anni fa, e sotto di loro hanno fatto tabula rasa. Niente più scuole di partito. Niente più botteghe artigiane in cui le mani esperte dei più anziani guidano e formano quelle “scalpitanti” dei più giovani.
Niente più passaggio di testimone. A nessun livello. Figuriamoci in politica.
Solo in questi ultimi tempi sembra di intravedere qualche accenno di cambiamento. Qualcosa pare finalmente agitarsi in quest’oceano rimasto piatto per tre lunghissimi decenni, anche se è ancora troppo poco per poter parlare di inversione di tendenza.

È stato (ed è ancora) così, a tutti i livelli. Dalle “alte sfere” della politica e dell’economia, fino alle “sfere più infime” della vita amministrativa e lavorativa, nei comuni più piccoli d’Italia.
Basta dare un’occhiata (anche fugace) alla situazione generale per capirlo!
Basta fare i conti dei trentenni e dei quarantenni che sono rimasti “fuori dai giochi” in questi ultimi vent’anni e che ancora oggi continuano a restare fuori. Un numero troppo grande di ragazzi ed ex ragazzi ignorati, dimenticati più o meno volutamente, molti dei quali costretti a partire per cercare miglior sorte altrove. Preferibilmente all’estero e, sempre più spesso, perfino fuori dall’Europa.
Si tratta, in moltissimi casi, di persone molto capaci, titolate, ricche di idee e di esperienze. Persone che potrebbero fornire le soluzioni per ELIMINARE UNA VOLTA PER SEMPRE quell’insopportabile (e finto) bisogno italico vivere per forza da sudditi di uno o più dittatori da operetta.
E invece, queste persone valide sono relegate a giocare ruoli marginali o, addirittura, messe nell’impossibilità di giocare qualsiasi ruolo, anche di infimo ordine.

Siamo certi che sia questo il modo per migliorare le cose?

Eppure ancora oggi, quando qualcosa sembra finalmente agitarsi dalle profondità dello stagno, c’è qualcuno che continua a pensare di poter escludere queste generazioni.
Qualcuno che forse non è stato informato che la vita di ognuno (compresa la sua!) ha un ciclo che prima o poi è destinato a concludersi.

Sarebbe davvero assurdo che i nostri “vecchi”, che hanno fatto e dato tanto quando erano trentenni e quarantenni, oggi non abbiano il coraggio, la forza ma soprattutto il BUONSENSO di liberare certi ruoli che occupano da trenta, quaranta o anche più anni.
Qualcuno, a suo tempo, si è fatto da parte per offrire o cedere il posto a loro. Ma loro no! Non hanno la stessa disposizione d’animo, la stessa fiducia e lo stesso entusiasmo verso le nuove generazioni. Probabilmente sono convinti di essere immortali oppure pensano che il mondo debba “finire” con loro. Per cui non si sono curati e non si curano di trasmettere niente a nessuno.
L’unica cosa che sembra interessargli è cooptare, di tanto in tanto, qualche giovane (trentenne o quarantenne, magari dalla faccia pulita, magari con una bella laurea in mano, magari di buona famiglia), per sbatterlo sulla “facciata dei loro interessi”, in modo che alla maggioranza sembri che ci sia stato un rinnovamento. Ovviamente, non c’è niente di più fasullo e ridicolo.

Forse è arrivato il momento che qualcuno spieghi a questa gente che l’immortalità non è cosa umana e che è piuttosto improbabile che la fine del mondo sia imminente.
Il mondo va avanti comunque. E così pure l’Italia.
Per cui, tanto vale lavorare seriamente per spingere in avanti la nostra comunità nel migliore dei modi!
Il nostro Paese ha bisogno di idee nuove, di competenze più elevate, di esperienze diverse. Non ha bisogno di continuare a ripetere il modello che lo ha portato alla rovina.
Quando capiremo questo, saremo di nuovo membri di una comunità attiva, vivace, propositiva e sicuramente meno depressa di oggi.

Ma perché ciò avvenga, ci vuole il coraggio di cambiare.
Ci vuole la volontà e la determinazione di includere quelle generazioni che negli ultimi vent’anni sono state escluse, dimenticate e “saltate”. Generazioni che, con i loro cervelli e le loro braccia, possono consentirci di fare un autentico e deciso salto di qualità.
L’Italia si salva solo se trova il coraggio di riprendersi (e, quindi, di ridarsi) le sue intelligenze e le sue competenze che, spesso a causa di scadenti giochi di retrobottega, sono state allontanate e ignorate per troppi anni.
E questo può succedere solo se la maggioranza dei cittadini lo capisce.
Solo se la maggioranza dei cittadini smette di seguire come un gregge cieco e sordo il dittatore da operetta “di turno”, il mezz’uomo di turno, la mezza tacca di turno, la mezza sega di turno.
Solo se smette di trasformare queste mezze figure in sacerdoti da adorare fino alla morte.
Solo se fa tutto questo subito, ADESSO!
E, comunque, prima che sia troppo tardi.

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