se fossi un'automobile...

... sarei una FIAT 850. Ve la ricordate?

lunedì 29 giugno 2009

Al cinema... John e Jack non so! (18)


3002 Iliade nell’ospizio
(UK-Grecia, 1977)

a cura di Brando Marlon

Grecia, aprile 1903.
Un monolito nero cade dal cielo, sfonda il tetto di un ospizio di un paesetto sperduto tra le montagne e si conficca nella testa di padre Carxiophos, il prete ortodosso che guida la piccola comunità di anziani.
A causa delle radiazioni del monolito, gli ospiti dell’ospizio staccano i piedi in legno delle sedie e cominciano prendersi reciprocamente a bastonate.

Sistema stellare di Alpha Centauri, nello stesso momento.
Un monolito bianco parte a sirene spiegate verso la Terra.

Spazio profondo, anno 3002.
L’astronave terrestre Cassandra si dirige a velocità inaudita verso il sistema stellare di Alpha Centauri. L’unico passeggero a bordo è il comandante Akyl.

Grecia, giugno 1903.
Il monolito bianco proveniente dal sistema stellare di Alpha Centauri irrompe nell’ospizio del paesetto sperduto tra le montagne, immobilizza il monolito nero e lo riporta nello spazio.
Nella concitazione del momento, il monolito bianco si dimentica di staccare la testa di padre Carxiophos dalla punta del monolito nero.
Intanto, tra gli anziani ospiti dell’ospizio, solo uno è sopravvissuto alla guerra delle bastonate.

Spazio profondo, anno 3002.
L’astronave terrestre Cassandra arriva a destinazione presso un piccolo pianeta del sistema stellare di Alpha Centauri.
Dopo un’estenuante trattativa, il comandante Akyl riesce a convincere il popolo dei monoliti bianchi a restituirgli la testa mummificata di padre Carxiophos. Il comandante Akyl ringrazia, torna a bordo della Cassandra e fa rotta verso la Terra.

Sistema stellare di Alpha Centauri, un giorno dopo.
Dopo 1099 anni di carcere duro, il monolito nero viene rilasciato per buona condotta e scappa dal pianeta dei monoliti bianchi.

Spazio profondo, nello stesso momento.
Il computer di bordo della Cassandra improvvisamente prende coscienza della propria individualità e ferma di sua spontanea (e unilaterale) iniziativa i motori della nave stellare.

Spazio profondo, qualche ora dopo.
Il monolito nero, lanciato a tutta velocità verso la Terra, non vede la nave stellare Cassandra e impatta con essa. Nell’eslposione devastante e tragicamente silenziosa che segue, il monolito nero si disintegra e, con esso, anche la Cassandra, il suo computer di bordo e il corpo del capitano Akyl.

Spazio profondo, ancora un po’ dopo.
La testa mummificata di padre Carxiophos, miracolosamente intatta dopo l’esplosione, fluttua lenta e silenziosa nel vuoto nero e freddo, apparentemente senza un perché.


Film disturbato e disturbante, questo 3002 Iliade nell’ospizio, da oltre trent’anni divide la critica in CRI e TICA. Per cercare di spiegare questa pellicola si sono versati interi oceani di inchiostro, contribuendo in maniera sostanziale all’inquinamento delle falde acquifere terrestri. Le visioni brillanti e incomprensibili del regista Omerus Goliath McDavid incutono sgomento e straniamento nel pubblico fin dai titoli di testa (inspiegabilmente posti a metà film).
Del tutto assenti da questo lavoro risultano i dialoghi, gli effetti sonori e le musiche, quasi a rafforzare interi quarti d’ora di immagini statiche e scene lunghissime in cui non succede assolutamente nulla.
Nel 1980 il film fu premiato con l’Ugola di Marmo come migliore pellicola muta della storia del cinema. Omerus Goliath McDavid non accettò il premio, giudicandolo la più grande offesa che qualcuno potesse fargli per il suo lavoro.
Un anno dopo, il regista, ormai del tutto cieco e devastato da terribili turbe psichiche, si diede fuoco in una piazza di Calcutta, declamando in versi le sue ragioni.
Secondo McDavid non era assolutamente ammissibile che un film, per quanto privo di dialoghi, effetti sonori e musiche, fosse da etichettarsi necessariamente come “muto”.
Con ogni probabilità, sarebbe bastato dire che si trattava di una pellicola "diversamente sonora".
In un tale alone di mistero, resta un grande dubbio: perché, invece di versare tutto quell'inchiostro, i critici non si sono preoccupati di scrivere?

sabato 20 giugno 2009

Super Pro e i misteri del Golfo dei Tonni (1)

Come ho già detto, le avventure di Super Pro, il procione di peluche che si trasforma in un super eroe, sono pubblicate su 44 Gatti, rivista bimestrale per ragazzi di Gaghi Editrice (Milano).

Nel 2007, per il numero di 44 Gatti in uscita a luglio, avevo deciso di scrivere una storia che parlasse di un mistero nascosto dal mare.

Lo scenario ce l'avevo, ed era quello "classico" del Golfo dei Tonni, la località in cui spesso i protagonisti di questa mia piccola serie a fumetti si ritrovano d'estate per trascorrere le loro vacanze in campeggio.
I personaggi sarebbero stati, ovviamente, Super Pro e i suoi tre giovani amici Bebo, Ale e Tore.

Avevo anche un'idea "di massima" su cosa mi sarebbe piaciuto raccontare.
Purtroppo non avevo abbastanza pagine a disposizione.

Infatti le storie di Super Pro, per ovvie esigenze editoriali, si risolvono sempre in un ristretto numero di pagine che, in genere, oscilla dalle 5 alle 7.

In passato, c'è stata qualche "punta" di 8 pagine (questa eventualità è finora capitata solo 2 volte su 44 storie) e qualche raro "minimo" di 4.

Per il numero di luglio 2007, mi capitò proprio uno di quei rari "minimi" di 4 pagine. Troppo poche per fare quello che avrei voluto! Allora pensai di fare due storie consecutive (una per il numero di luglio e una per quello di settembre) che mi permettessero di scrivere almeno una parte delle vicende che avevo in mente.

Le esigenze editoriali mi imposero di fare comunque due storie separate, che potessero essere lette autonomamente, e non un'unica storia divisa in due puntate. Infatti, non sarebbe stato simpatico lasciare in sospeso i giovanissimi lettori della rivista per ben due mesi.

Il diamante del Quiquanic è la prima di queste due storie, ed è soltanto un piccolo antipasto, appena sufficiente per soddisfare i lettori più giovani e introdurre le vicende che avrei voluto affrontare.

Nella storia successiva, che pubblicherò sul blog tra qualche settimana, ebbi l'occasione di fare qualche passo avanti, anche grazie alle 6 pagine che mi furono concesse.
La vicenda trovò così una sua conclusione.
Tuttavia, come spesso accade nei racconti di fantasia, quella conclusione era solo l'inizio di un'avventura ancora tutta da scrivere e da disegnare!


Il diamante del Quiquanic
[Super Pro, episodio#31, luglio 2007. Testi: Daniele Mocci - Disegni: Luca Usai]


Per leggere (o rileggere) le altre storie a fumetti di Super Pro che ho pubblicato sul blog, fate un click QUI. Troverete anche varie notizie sulla serie e sui personaggi.

Super Pro © Daniele Mocci e Luca Usai

martedì 16 giugno 2009

Povera lingua, ovvero… Deliri grammaticali assortiti


Io non sono certo un professore di grammatica o un esperto linguista.
Io non sono certo la reincarnazione di Dante Alighieri o di Alessandro Manzoni.
Io (ahimè) non sono neppure Umberto Eco o Italo Calvino.
Io talvolta non riesco a ricordarmi la precisa regola grammaticale per cui qualcosa si dice o si scrive in un modo piuttosto che in un altro.
Io faccio sicuramente degli errori. Tanti errori. Troppi errori.
Io sono stato informato diversi anni fa che la lingua parlata non è immutabile, ma cresce, si evolve e si aggiorna insieme alla società che cambia.
Io sono a conoscenza del fatto che le lingue possono anche morire… perfino!
Io so bene che oggigiorno esistono lingue (o, meglio, grotteschi - anche se talvolta curiosi - aborti di lingue) che si chiamano “essemmessese”, “e-mailese”, “televisionese”, ecc.
Io so bene che l’italiano di oggi non può essere quello di 30, 40 o 50 anni fa. E neppure quello di soli 10 anni fa. Nascono continuamente nuovi modi di dire. Diverse espressioni sono cadute in disuso. Ci sono costanti inserimenti di neologismi, insieme a “vecchie” parole che assumono sfumature inedite (se non proprio significati diversi). Certe forme verbali sono diventate obsolete e oggi se ne usano altre più “attuali”. Anche l’aggettivo “obsoleto”, ora che ci penso, sta diventando obsoleto. Accidenti!

Tutto questo, però, non c’entra niente con l’italiano (state bene attenti al “c’entra” che sta per “ci entra” e non per “centra”, ma su questo discorso torneremo tra poco).
Tutto questo non ha niente a che vedere con la decenza minima sindacale che sarebbe quanto meno auspicabile avere quando si parla o si scrive in italiano.
Tutto questo non riguarda la volontà e la capacità di svegliare almeno un (aggettivo numerale cardinale maschile singolare) neurone dallo stato di stand-by per fare in modo che si attivi all’interno della nostra testa e si metta a lavorare per colmare qualche lacuna (per non dire VORAGINE o addirittura FOSSA DELLE MARIANNE) che purtroppo interessa la nostra capacità di leggere, scrivere, parlare e soprattutto CAPIRE quella che dovrebbe essere la nostra lingua madre!

La cosa davvero raccapricciante, per me che da diversi anni faccio il copywriter in un’agenzia pubblicitaria (cioè scrivo testi per annunci, brochure, volantini, lettere, siti internet… studio nomi per nuovi prodotti, servizi, società, attività, ecc…), è avere a che fare con situazioni davvero aberranti, imbarazzanti e surreali, soprattutto quando mi confronto con certi uffici marketing di aziende anche piuttosto grosse e conosciute almeno in ambito nazionale.

Questi uffici marketing sono gestiti da persone.
Queste persone sono come minimo laureate (Economia e Commercio, Scienze Politiche, Giurisprudenza o addirittura Lettere!).
Queste persone hanno spesso nel loro curriculum anche uno o più Master, frequentati in scuole di tutto rispetto.

Ecco… io so (perché lo posso constatare quasi ogni giorno) che un (articolo indeterminativo maschile singolare) numero abnorme di queste persone, invece che pensare a eseguire (possibilmente bene) il proprio compito, quando si interfaccia con l’agenzia pubblicitaria per trasferire gli estremi di un lavoro da svolgere, si comporta in questo modo:
1) non avendo niente in testa che assomigli almeno vagamente a un embrione di barlume di idea (e non avendo neppure strumenti tecnici di base) per trasferire gli estremi del suddetto lavoro, questa gente invia all’account dell’agenzia pubblicitaria, o direttamente ai cosiddetti “creativi” (notare bene sia l’aggettivo “cosiddetti” che le virgolette!), una e-mail con un’accozzaglia di parole zoppicanti, messe spesso a casaccio e quasi sempre a sproposito, senza nessuna capacità (ma vorrei dire “intenzione”) di farsi capire
2) non soddisfatti del danno che producono all’agenzia pubblicitaria (che, in teoria, è lì per fare gli interessi dell'azienda di cui questa gente fa parte e per fornire una consulenza professionale, ossia quello che, in un mondo chiamato Utopia, un’agenzia pubblicitaria dovrebbe realmente fare), tali sommi sapienti si permettono di scendere in campo e di dispensare consigli tecnici e operativi ai grafici, agli art director e ai copywrtiter su come questi ultimi dovrebbero fare il proprio mestiere
3) non ancora soddisfatti, questi saggi tuttologi dei massimi sistemi, per giustificare lo stipendio (sicuramente sproporzionato in eccesso) che percepiscono, cercano maldestramente di convincere i grafici, gli art director e i copywriter che l'unica soluzione è quella di seguire le loro preziose (nonché contradditorie) informazioni e i loro illuminanti (e dannosissimi) consigli. Questo comporta una serie indeterminata (e lunghissima) di sterili e deprimenti correzioni e di totali rifacimenti del lavoro, il quale, dopo essere stato terminato e presentato con una vasta gamma di opzioni e varianti, viene cestinato e rifatto di sana pianta enne volte, dove enne sta per un numero non inferiore a 35
4) alla fine, questi sacerdoti della scienza infusa, dopo aver costretto i grafici, gli art director e i copywriter a fare e rifare il lavoro e le correzioni in tutti i modi possibili (compresi tutti i modi opposti e tutti quelli intermedi), decide (naturalmente tirando a sorte) quale sia la versione che alla fine “la loro azienda” ha scelto ritenendola la meno peggio, nonostante ci siano una barca di cose che ancora non piacciono e che comunque non funzionano e non funzioneranno mai.

Ora…

Persone di questo tipo che, oltre a quello che ho appena detto, si permettono pure di scrivere questo genere di ORRORI:

- Questa cosa non centra niente (IGNORANTE!!! Si dice “non c’entra”!!!! Il verbo non è centrare ma ENTRARE!!! Stupido!!!)
- Si, questo va bene (IGNORANTE!!! - avverbio - si scrive con l’accento, a differenza del Si - pronome e del Si - sostantivo che indica la settima nota musicale della scala diatonica)
- Qual’è il motivo di questa osservazione? (IGNORANTE!!! Qual è non ha nessun bisogno dell’apostrofo!!!)
- Quì aggiungi un pò di testo, quà invece elimina questa frase (TRIPLO IGNORANTE!!! Come ci diceva la maestra in seconda elementare… su qui e su qua, l’accento non va! E ancora… po’ non ha l’accento ma l’apostrofo, essendo la forma tronca dell’avverbio di quantità poco!!!)
- Perchè, poichè, giacchè, nonchè… (IGNORANTE!!! Queste congiunzioni hanno tutte l’accento acuto e non quello grave, quindi scriveremo… perché, poiché, giacché, nonché…)

… e potrei continuare all’infinito con cose anche molto più gravi.

Ma, dicevo…

Persone di questo tipo che cosa ci fanno in mezzo alle palle?
Perché chi di dovere non le sbatte fuori dalle aziende a calci in culo?

Per fortuna (ma, appunto, è solo una questione di fortuna!!!) non tutte le “persone marketing” che si interfacciano con le agenzie di pubblicità sono così. Il problema è che i pochi buoni fanno la fortuna dei troppi scarsi. E i troppi scarsi fanno sprofondare nel fango i pochi buoni. Quindi mi sa che, alla fine, il fatto che ci siano anche le "buone persone marketing" , non produce nessun effetto positivo sull’andamento complessivo del fenomeno.

Prima di chiudere vi racconto un’ultima cosa.
Riguarda un lavoro che ho fatto tempo fa per una nota società multinazionale (e non per la bottega di Zia Maria, la quale si esprimerà anche soltanto in dialetto, ma almeno lo fa bene!).
Per questa società ho scritto un testo in cui utilizzavo la prima persona plurale del presente indicativo del verbo CONSEGNARE.
Come dice Giorgio di Rienzo (linguista, lui sì – con l’accento – del Corriere della Sera), è noto (o, meglio, dovrebbe essere noto) che

“la prima persona plurale dell’indicativo ha desinenza -IAMO, che si aggiunge alla radice del verbo. AMARE dunque aggiunge alla radice AM la desinenza -IAMO. Così, alla radice CONSEGN si aggiunge la desinenza -IAMO e si ha CONSEGNIAMO. È il solo caso in cui è ammessa la -I dopo il gruppo GN”.

Una cosa come questa può indubbiamente sfuggire a chiunque (o quasi) e anch’io mi sono umilmente documentato prima di consegnare il lavoro, proprio perché c’era di mezzo un verbo con il gruppo GN, che poteva trarre in inganno.
Questa è stata la risposta dell’ufficio marketing di quella nota azienda multinazionale, dopo che io avevo rimesso la -I in seguito alla loro prima correzione (in cui la -I era stata eliminata):

(…) ho scoperto che, anche se può andar bene CONSEGNIAMO, è meglio scriverlo senza la -I. Ai clienti può sembrare che non conosciamo l’italiano”.

Ma come?
Non è che CONSEGNIAMO può andar bene.
CONSEGNIAMO VA BENE, CAZZO! (sostantivo maschile singolare)
Abbiamo dimostrato che in italiano CONSEGNIAMO si scrive correttamente con la -I e voi mi dite di toglierla altrimenti agli occhi di chi ci legge rischiamo di fare la figura di quelli che non conoscono l’italiano?
Mi sono perso qualche passaggio del discorso, oppure LE COSE STANNO ESATTAMENTE AL CONTRARIO?
Qual è (senza apostrofo) la logica?
Dov’è (con l’apostrofo) finita l’intelligenza?
Chi ha spento il lume della ragione?

Siamo al delirio!

Prima mi trattano da ignorante perché ho messo quella -I e me la tolgono.
Poi io dimostro che quella -I va messa e (porca vacca!) la rimetto.
Infine, mi costringono ad essere ignorante come loro e la tolgono nuovamente.
Il tutto con l'aggravante della motivazione più ignobile possibile, ossia... DEVI ESSERE IGNORANTE ED ESPRIMENRTI DA IGNORANTE SE NON VUOI CHE LO ZOCCOLO DURO DELL'IGNORANZA DIFFUSA TI INDIVIDUI COME IGNORANTE.

Una roba simile dovrebbe essere vietata per legge e severamente sanzionata.

Cosa si impara da tutto questo?
Semplice: mentre oggi l'ignoranza dell'istruzione è una cosa del tutto irrilevante, l'ignoranza dell'ignoranza è una cosa gravissima, oltre che (piuttosto) sconveniente e (anzichenò) fastidiosa.
A questo punto, tanto vale essere ottimisti!

Comunque, l'ultima parola spetta proprio a quelle persone. Infatti sono loro che pagano. E chi paga un consulente di comunicazione ha il diritto di cambiare anche le regole della grammatica, se non ha il cervello sufficientemente sviluppato per capire che è proprio all’interno di quelle regole che si parla e si scrive.
Se ne deduce che questi dottori in Lettere Nucleari non hanno, evidentemente, il cervello sviluppato a sufficienza.

Un po’ (con l’apostrofo) quello che succede a una buona fetta della nostra classe politica con le regole della Giustizia e con i principi fondamentali della Costituzione.
Ma questa è un’altra storia.
Forse.

giovedì 11 giugno 2009

Caravan, comincia il viaggio di Michele Medda & Co.


E' in edicola il n. 1 di Caravan, la nuova mini serie targata Sergio Bonelli Editore, ideata e scritta da Michele Medda.

Si è già parlato in varie sedi della coralità di quest'opera e della conseguente assenza di un personaggio-eroe-punto di riferimento se non unico, almeno principale.
Si è già parlato in varie sedi dello staff di disegnatori coinvolti: Roberto De Angelis (sue le immagini di questo primo numero, tutte molto belle a parte quelle "retinate", di cui non ho capito il significato e l'utilità!), Stefano Raffaele, Emiliano Mammucari (ottimo copertinista della serie), Fabio Valdambrini e altri ancora.
Si è già parlato in varie sedi dei riferimenti (musicali, letterari, cinematografici, ecc.) scelti da Michele Medda per costruire le ambientazioni, le atmosfere e le vicende.

In questo numero succedono un sacco di cose che non ci danno neppure il tempo di farci domande. Entriamo nella cittadina americana di Nest Point come se ci fossimo sempre stati.
Non c'è tempo per presentazioni canoniche e nemmeno bisogno.
Entriamo nella famiglia Donati, nelle vite e nelle personalità dei suoi componenti e delle persone che hanno a che fare con loro, senza che nessuno ci prepari o ci avverta. E comunque, anche in questo caso, non ne sentiamo minimamente l'esigenza.
Merito dello sceneggiatore, ovviamente.

Qui, più che altrove, sta la poca "bonellità" di un fumetto che è, comunque, certamente ed evidentemente Bonelli...
Qui più che nella cover, incredibilmente (e FINALMENTE!!!) senza pistole, esplosioni, scene di lotta o creature mostruose...
Qui più che nella grafica della testata, così strana per un albo Bonelli anche perché, tra l'altro (e FINALMENTE!!!), non riproduce il nome dell'eroe o dell'antieroe di turno...
Qui più che nel fatto che l'eroe o l'antieroe di turno non c'è (HURRA'!!!) e, dati i presupposti, probabilmente non ci sarà (HURRA', HURRA'!!!).

In questo primo numero, dicevo, succedono un sacco di cose.
Ma non succede niente.
Sì, perché tutto quello che succede è solo l'inizio o forse "ancora meno" (notare le virgolette).
E' "solo" la preparazione all'inizio!

Insomma, questa miniserie Bonelli, più di quelle che l'hanno preceduta (penso in particolar modo a Volto Nascosto), sembra avere le caratteristiche del romanzo.

E ho l'idea (e anche la speranza, perché no?) che oggi, dopo essere arrivato alla novantaquattresima pagina del n. 1, io abbia letto soltanto il prologo.

L'unica cosa che mi è sembrata un po' forzata, a parte i retini (per fortuna pochissimi!) di De Angelis (il quale ha comunque svolto un lavoro assolutamente all'altezza della sua bravura!), è la scena in cui Davide Donati si trova faccia a faccia con Adrian Richards.
Mi è sembrato che il ragazzo di origini italiane si comporti un po' troppo sopra le righe per essere solo un diciasettenne e, per giunta, ancora mezzo sbronzo dopo una bevuta di birra nel tentativo di dimenticare la delusione sportiva di cui è stato protagonista in negativo qualche ora prima. C'è qualche forzatura sia nella sua reazione verbale che in quella fisica.
Ma sono dettagli.
Ovviamente, se non avete letto Il cielo su Nest Point (questo è il titolo del n. 1), non sto a spiegarvi quello che ho appena scritto.
Se invece l'avete già letto, a maggior ragione non avete bisogno di spiegazioni!

Di sicuro l'albo merita il tempo necessario alla sua lettura e i 2 Euro e 70 del prezzo di copertina.

Non aggiungo altro perché rischierei di ripetere molte cose che hanno già detto altri o che saranno in ogni caso scritte nei prossimi giorni su internet e sulla carta stampata.
Non aggiungo altro perché non mi interessa "per natura" fare analisi letterario-filosofico-socio-meta-fumettistiche (meno che mai in questo blog).
Ho parlato di Caravan perché Michele Medda, oltre ad essere uno dei migliori sceneggiatori italiani di fumetto, è un profondo conoscitore del medium. Da sempre seguo con attenzione il suo lavoro e oggi ho la grande curiosità di vederlo all'opera su un progetto suo al 100% (Digitus Dei è stata una parentesi troppo breve, purtroppo!).

Non importa come andrà a finire il viaggio della sua carovana.
L'importante è che sia un bel viaggio!

In bocca al lupo!

Alcuni link utili
Caravan (il blog della serie)
Caravan (mini sito Sergio Bonelli Editore)
Michele Medda (sito)
Roberto De Angelis (sito)
Stefano Raffaele (blog)
Emiliano Mammucari (blog)

domenica 7 giugno 2009

Marcello e Sofia #04


Quarta tavola di Marcello e Sofia, pubblicata sul bimestrale Tempodì (Gaghi Editrice, Milano) nel numero di dicembre 2007.

In questo episodio ho voluto rendere omaggio alla Fiat 850, icona di questo blog che, come ho già detto tempo fa, rappresenta uno dei "punti fermi" della mia infanzia.